Lo sapete cos’è il sesto continente? Sono due enormi isole di immondizia che galleggiano tra Asia ed America. Si estendono per 2500 kilometri quadrati e portano con se circa 100 tonnellate di rifiuti.

L’80% di questi sono provenienti dagli insediamenti umani presenti sulla terra ferma, mentre il 20% sono rappresentati da rifiuti abbandonati dalle navi in mare. Di queste 100 tonnellate il 90% è rappresentata da plastica. Come mai tanta plastica? Semplice: perchè la produzione mondiale di plastica è ancora altissima (200 milioni di tonnellate) e la percentuale di materiale è bassa in modo sconcertante (solo il 3%). Ed è così che nel mare finiscono bottiglie di plastica, sacchetti, reti da pesca abbandonate ed altri innumerevoli tipologie di packaging non riciclato o riciclabile.

Le vittime di queste piattaforme di plastiche sono ovviamente oltre che la bellezza degli oceani anche numerosissime specie animali tra uccelli, tartarughe e mammiferi marini.

E’ proprio di qualche giorno fa la notizia di un enorme capodoglio spiaggiatosi sulle coste spagnole e morto per setticemia a causa dei 29 kili di plastica presenti nel suo stomaco. Una scena oltre che straziante anche importante per far capire anche a coloro che non sono vicini ai temi dell’ecosostenibilità, il devastante impatto della plastica sul nostro ecosistema.

Ridurre la produzione e conseguentemente l’utilizzo di plastica, risulta un impegno da portare avanti su più fronti a livello di nazioni, aziende ma anche a livello personale.

Le amministrazioni locali dovrebbero prestare maggiore attenzione alla gestione dei rifiuti soprattutto per quanto riguarda il loro riciclaggio e la loro raccolta, affinchè i rifiuti prodotti sulla terra ferma non si riversino in mare.

Le aziende invece potrebbero trarre vantaggio dai processi di riciclo della plastica attivando nuove produzioni di materiali innovativi basate sul recupero di quelli inerti. Ne è un esempio (per restare in tema) l’abbigliamento ecologico tra cui i giubbotti invernali e le scarpe da ginnastica prodotte a partire dal recupero delle bottiglie di acqua. Anche Nike sta seguendo questo percorso attraverso la produzione di sneakers che oltre ad essere molto trendy provengono dalla lavorazione di kili e kili plastica proveniente dagli oceani.

Ognuno di noi può ridurre il proprio impatto sulla produzione di plastica, non solo attraverso la raccolta differenziata ma soprattutto scegliendo materiali naturali (optando per esempio per l’abbigliamento biologico) e riducendo la propria produzione di rifiuti affidandosi ai negozi di prodotti alla spina al fine di dire no ad inutili kili di packaging.

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